Le origini e gli sviluppi dell’antropologia

Antropologia

Verso l’antropologia

L’antropologia si è sviluppata nel XIX secolo. Tuttavia possiamo individuare alcuni precursori di  questa disciplina:

  • Erodoto (V secolo a.C.), noto per le sue Storie in cui ha descritto le culture e le società dei popoli antichi
  • Marco Polo (1254-1324), famoso per il suo viaggio in Cina, che durò oltre 25 anni
  • Ibn Battuta (XIV secolo), viaggiatore marocchino che esplorò la maggior parte del mondo allora conosciuto.

Nelle loro opere sono presenti alcuni dei capisaldi dell’antropologia:

  • lavoro sul campo (osservazione diretta di usi e costumi dei popoli studiati);
  • relativismo culturale (consapevolezza della relatività degli usi e dei costumi dei vari popoli);
  • decentramento (capacità di cogliere il punto di vista dell’altro e di considerare con distacco critico la propria cultura)

Relativismo e decentramento caratterizzano anche le opere di alcuni intellettuali europei dell’età moderna, le cui riflessioni furono sollecitate anche dalla scoperta di nuovi mondi: il continente Americano ala fine del XV secolo e l’Oceania nel Settecento.

Nel XVIII secolo (periodo illuminista) attraverso uno dei generi letterari dell’epoca, il racconto filosofico, viene messo in evidenza l’atteggiamento antropologico, che si riferisce a un approccio o una mentalità specifica che gli antropologi adottano nei loro studi e ricerche.

Atteggiamento antropologico: atteggiamento di chi, confrontandosi con esperienze sociali diverse dalle proprie, è indotto a prendere le distanze dalla cultura a cui appartiene e a considerarla con spirito critico

Illuministi che hanno contribuito allo sviluppo dell’Antropologia, sono stati:

  • Charles de Montesquieu, che nel suo romanzo Le lettere persiane (1721) descrive il viaggio in Francia di 2 nobili persiani. Costoro osservano con curiosità le usanze europee, così diverse da quelle della loro terra. Questo continuo confronto determina nei due viaggiatori la consapevolezza della relatività di usi, costumi e valori. In sintesi le diverse culture devono essere comprese e valutate nel contesto dei propri valori, norme, credenze e pratiche culturali.
  • Denis Diderot, che nel racconto filosofico Il supplemento al viaggio di Bougainville (1973), anticipa alcuni temi sviluppati in seguito dall’antropologia. In questo racconto un indigeno tahitiano si confronta con un giovane missionario europeo su questioni etiche, mettendolo in difficoltà. L’indigeno tahitiano rappresenta la società tahitiana e la sua libertà sessuale e morale, mentre il missionario è un personaggio che cerca di convertire gli indigeni tahitiani al cristianesimo. L’indigeno tahitiano e il missionario sono due personaggi contrastanti che rappresentano punti di vista diversi sulla cultura, la moralità e la religione. Questi personaggi sono utilizzati da Diderot per esplorare e criticare il relativismo culturale.

La critica all’eurocentrismo

Nelle opere di Montesquieu e Diderot, appare evidente una certa critica all’eurocentrismo, ovvero alla tendenza a interpretare ogni cosa secondo il punto di vista della cultura europea, ritenuta superiore alle altre.

L’antropologia delle origini: l’evoluzionismo

L’evoluzionismo sostiene che tutta la realtà, naturale e sociale, è in perenne movimento da uno stato originario indefinito verso forme sempre più complesse e coerenti di organizzazione.

Tale concezione non deve essere confusa con la teoria dell’Evoluzione di Darwin, derivata da osservazioni ed esperimenti. Darwin aveva spiegato che la presenza di caratteristiche più vantaggiose negli individui per la sopravvivenza della specie era il risultato del caso. Herbert Spencer, filosofo evoluzionista, ampliò la teoria di Darwin, riconoscendo nella natura e nella storia umana una tendenza verso una progressiva organizzazione sempre più complessa ed armoniosa.

L’evoluzionismo antropologico ha come principali esponenti Lewis Morgan (1818-1881), Edward Tylor (1832-1917) e James Frazer (1854-1941). Essi proposero schemi di sviluppo storico-culturale universali, ossia validi per tutte le civiltà. Sono considerati i fondatori dell’antropologia.

Lewis Morgan

Morgan, nel libro Sistemi di consanguineità e di affinità nella famiglia umana, diede inizio alle ricerche di antropologia della parentela , specializzazione che studia con metodo comparativo l’organizzazione dei sistemi di parentela nelle diverse culture.

In La società antica (1877), Morgan tracciò uno schema evolutivo delle società umane, secondo cui il cammino dell’umanità si evolve dalla vita selvaggia (dove i popoli vivono di caccia e raccolta), alla barbarie (introduzione dell’agricoltura, allevamento e tecniche di irrigazione), alla civiltà (contraddistinta da una tecnologia basata sulla scrittura e sulle macchine).

La classificazione di Morgan è oggi obsoleta, poiché non è più sostenibile l’idea di un unico percorso di civiltà condiviso da tutte le culture, che permetta di distinguere nettamente tra “culture avanzate” e “culture in ritardo”. Nell’antropologia moderna, si preferisce invece analizzare il tipo di adattamento all’ambiente presentato dalle diverse culture, evitando di stabilire gerarchie o assegnare primati di civiltà.

Edward Tylor

In Cultura Primitiva (1871) Taylor definì la cultura come insieme delle produzioni e delle pratiche degli uomini che vivono in società. Nella sua opera Tylor sostiene che lo stato selvaggio rappresenta la condizione primitiva dell’umanità dalla quale la cultura lo ha fatto uscire attraverso processi ancora oggi attivi. In questo modo, durante il lungo periodo della sua esistenza, la società umana si è evoluta passando da uno stato selvaggio a uno stato civilizzato.

Tylor applicò uno schema evoluzionistico alla storia delle religioni, distinguendo tre forme universali di spiritualità, dalla meno complessa alla più complessa, nelle quali tuttavia rimane qualcosa della religiosità primitiva (ad esempio come nell’animismo, anche nella concezione cristiana l’anima è immortale):

  1. animismo ( i popoli primitivi attribuivano a tutti i viventi e ai fenomeni naturali un0’anima o spirito);
  2. politeismo (i popoli credevano in più dei);
  3. monoteismo (i popoli credevano in un solo dio)

James Frazer

Studioso di miti e religioni, noto per la sua opera Il Ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione. Secondo Frazer la conoscenza dell’uomo si evolve da forme prescientifiche, come la magia e la religione, alla scienza moderna, unico sistema conoscitivo che può controllare e prevedere i fenomeni della natura.

L’uomo utilizza la magia nella speranza di dominare la natura con le sue sole forze, mentre quando si rende conto di non poter esercitare alcun potere sugli eventi si volge alla religione. La scienza moderna è l’unica che può spiegare e controllare il corso della realtà a vantaggio degli esseri umani.

I “classici” dell’antropologia e le basi della disciplina

In questa parte dell’articolo vedremo gli autori europei e statunitensi, che operarono nel Novecento e che posero le basi metodologiche della disciplina: lavoro sul campo, attenzione al punto di vista del nativo, particolarismo e relativismo culturale. Gli antropologi che prenderemo in considerazione sono: Boas, Mead, Malinowski, Lévi-Strauss.

Boas e il particolarismo culturale

Franz Boas (1858-1942) è stato il capostipite dell’antropologia statunitense. Di origine tedesca, Boas si trasferì negli Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, dove si dedicò allo studio degli indiani della costa Nord-Ovest e, tra il 1919 e il 1922, dei nativi americani, i Pueblos, che vivevano nelle regioni dell’Arizona e del Nuovo Messico.

Boas fu lo studioso che ha fatto di più per la conoscenza e conservazione delle lingue degli indigeni americani. Lui stesso ne parlava moltissime e questo gli permise di meglio comprendere la mentalità e i valori di questi popoli. La lingua, infatti, è un elemento essenziale della cultura e dell’identità di un popolo.

L’elaborazione di un metodo deduttivo

Boas portò avanti i suoi studi adottando un metodo di ricerca induttivo, che può essere così riassunto:

  • osservazione diretta di fatti concreti (lavoro sul campo);
  • raccolta e analisi dei dati;
  • elaborazione di teorie e leggi.

Il POTLAC

Boas studiò la società degli indiani americani della costa Nord-Ovest. In particolare approfondì il Potlàc, una singolare cerimonia durante la quale un ricco ospite distribuisce doni agli invitati e, per ribadire il suo elevato rango sociale, brucia e distrugge oggetti di valore. Gli invitati sono tenuti a ripetere a loro volta questo rituale in una specie di gara sociale che ha funzioni ben precise: far circolare la ricchezza, confermare il rango sociale e evitare l’eccessiva accumulazione di beni da parte di una sola persona, per preservare l’equilibrio sociale.

Il superamento dell’etnocentrismo

Boas si oppose all’evoluzionismo e sostenne il particolarismo culturale. Secondo questo punto di vista ogni cultura deve essere studiata e compresa in relazione allo specifico ambiente in cui si sviluppa e ai problemi che deve affrontare (particolarismo culturale). Il particolarismo è la premessa indispensabile del relativismo culturale, ovvero di quella concezione per cui tutte le culture hanno una loro validità e non ha senso valutarle secondo secondo il punto di vista della cultura a cui si appartiene, ritenuta migliore delle altre (etnocentrismo). Nella seconda metà del Novecento il relativismo culturale fu condiviso da quasi tutti gli antropologi statunitensi, allievi di Boas.

La scuola “cultura e personalità”

Negli anni ’30 del Novecento gli Allievi di Boas diedero vita alla “Scuola Antropologica di cultura e personalità”; i principali esponenti furono “Abram Kardiner, Ralph Linton, Ruth Benedict, Margaret Mead. Essi concepivano la cultura come un sistema comportamentale che caratterizzava un ambiente sociale e viene trasmesso tramite l’inculturazione, da generazione a generazione. Secondo questa visione tutti i membri di una cultura condividono una Personalità di base.

Le ricerche comparative di Margaret Mead

In questo contesto le ricerche di Margaret Mead ebbero una notevole influenza sia in ambito antropologico sai sui movimenti pacifisti del Novecento. Nella sua opera L’adolescenza a Samoa (1928), frutto delle sue ricerche sul campo e dell’osservazione della vita quotidiana delle ragazze samoane, M. Mead arrivò alla conclusione che il modo di vivere lo sviluppo psicologico varia secondo la cultura di appartenenza. A Samoa le ragazze vivevano l’adolescenza senza crisi e tensioni, dal momento che i loro desideri (ad esempio sposarsi ed avere molti figli) coincidono con quello che il sistema sociale si aspetta da loro.

In Sesso e temperamento in tre società primitive (1935) Mead mette a confronto i metodi educativi di tre popoli della Nuova Guinea: gli Arapesh, i Mundugmor e i Tchambuli. Il metodo comparativo permise alla studiosa di effettuare un collegamento tra modelli educativi e personalità: gli Arapesh , nutriti e viziati in maniera eccessiva erano di carattere mite, mentre i vicini Mundugmor , allevati attraverso metodi più duri e frustranti, erano di norma molto violenti.

Malinowski e il funzionalismo antropologico

Bronislaw Malinowski è considerato il principale teorico del funzionalismo antropologico, un punto di vista teorico che si propone di chiarire la funzione della cultura collegandola all’uomo biologico e ai suoi bisogni.

Malinowski nacque in Polonia nel 1884, per poi trasferirsi a Londra ed in seguito negli Stati Uniti. Dal 1914 al 1918 soggiornò presso le isole Trobiand, dove studiò la vita sociale degli indigeni, approfondendo la funzione sociale di tutte le usanze. Da questa esperienza a campo nacque la sua opera principale: Argonauti del Pacifico Occidentale (1922). Questo testo di Malinowski può essere considerato un trattato di metodologia della ricerca, introducendo la tecnica dell’osservazione partecipante, incentrata sulla prolungata permanenza e partecipazione alla vita quotidiana del gruppo, per poter cogliere dall’interno la loro cultura.

Tra le usanze descritte da Malinowski c’è il kula ring (“circuito kula”), una forma di scambio culturale praticato dagli abitanti  di una trentina di isole disposte a cerchio in un’area geografica limitata. Il kula ring consiste in uno scambio cerimoniale di collane di conchiglie bianche con braccialetti di conchiglie rosse tra gli abitanti delle isole. Il kula ring serviva a instaurare e a rafforzare i legami tra le popolazioni delle isole Trobriand.

Altri aspetti della vita sociale di questi indigeni che interessarono Malinowski furono la magia (che accompagnava molti momenti di vita quotidiana, come ad esempio la costruzione di una canoa) e l’organizzazione familiare. In particolare fu colpito dalla libertà sessuale prematrimoniale e dalla posizione sociale di prestigio della donna.

Concetto di cultura nell’interpretazione funzionalista di Malinowski

Per chiarire che cos’è la cultura occorre collegarla all’uomo biologico e ai suoi bisogni, ovvero occorre comprendere la sua funzione. La cultura è un insieme di risposte socialmente organizzate ai fondamentali bisogni umani, e ha la funzione di proteggere la specie e garantire migliori condizioni di sopravvivenza (ad esempio il linguaggio umano consente uno scambio di messaggi più ampio e preciso rispetto ai gesti comunicativi degli animali).

Proprio perché queste risposte sono di tipo culturale e non di tipo biologico, come accade invece nel mondo animale, possono variare da una popolazione all’altra. Questa diversità può non essere evidente se si considerano semplicemente i manufatti, descrivendoli e classificandoli. Per entrare nella dimensione culturale di un popolo occorre capirne la loro funzione.

Per spiegare la sua prospettiva Malinowski riporta l’esempio di un semplice e primitivo manufatto: il bastone da scavo. La sua forma e le sue dimensioni sono pressoché uguali in tutte le culture, ma la sua funzione cambia. Può essere ad esempio usato per scavare radici, coltivare il suolo o appoggiarsi mentre si cammina.

Lévi-Strauss e l’antropologia strutturale

L’antropologia strutturale è l’insieme delle teorie elaborate da Lévi-Strauss allo scopo di individuare le strutture sociali, ovvero quegli elementi ricorrenti e universali che sono ala base dei comportamenti sociali umani in tutte le culture.

I rapporti di parentela

Nella usa opera “Le strutture elementari di parentela” Levi Strauss analizza i rapporti di parentela nelle varie forme di società, arrivando al problema primario: la distinzione tra uomo e animale. La differenza sta nei legami di affinità che subentrano dopo il matrimonio, a cui si aggiungono i legami di filiazione (tra genitori e figli), i legami di consanguineità (tra fratelli), che concorrono a costituire l’atomo di parentela.

Studiando i rapporti di parentela di varie popolazioni, Levi- Strauss individuò gli eventi decisivi del passaggio dalla natura alla cultura, inaugurando la metodologia di analisi strutturalistica, ovvero la ricerca, condotta attraverso strumenti logico-matematici, di elementi universali nelle varie culture come ad esempio i miti, o i legami di parentela.

Incesto ed esogamia

In tutte le culture, nonostante la varietà delle combinazioni possibili, esistono alcune medesime “leggi universali“. La più importante è il “Tabù dell’incesto“, ovvero il divieto assoluto di unirsi sessualmente con parenti stretti; esso rende obbligatoria l’esogamia, una regola matrimoniale che impone di sposarsi con persone al di fuori del proprio gruppo di appartenenza (clan familiare o banda). Lévi-Strauss individua nel tabù dell’incesto l’elemento di mediazione tra natura e cultura, poiché, pur essendo una creazione umana, ha assunto nel tempo l’universalità e l’obbligatorietà delle leggi di natura.

L’esogamia si contrappone all’endogamia, cioè una prescrizione che concede le unioni all’interno di un gruppo.

Il matrimonio esogamico si è affermato in tutte le società perché favorisce rapporti e alleanze pacifiche tra tribù diverse e potenzialmente nemiche, che sono una garanzia di sopravvivenza del gruppo sociale.

L’antropologia nel secondo Novecento

  1. Il neoevoluzionismo
  2. Il materialismo culturale
  3. L’antropologia interpretativa
  4. L’antropologia postmoderna

Il neoevoluzionismo

Nella seconda metà del Novecento si assiste a una ripresa dell’ottica evoluzionistica, che propone spiegazioni complessive dello sviluppo culturale valide per tutta l’umanità. I principali esponenti del neoevoluzionismo sono l’archeologo britannico Vere Gordon Childe (1892-1957), e gli statunitensi Leslie White (1900-1975) e Julian Steward (1902-1972).

V.G. Childe individuò la molla del progresso storico nell’evoluzione del sistema produttivo, indicando tre stadi principali dell’evoluzione storica mondiale:

  1. paleolitico (caratterizzato dalla lavorazione  della pietra, dalla caccia e dalla raccolta);
  2. neolitico (caratterizzato dalla nascita dell’agricoltura e dell’allevamento);
  3. civiltà (caratterizzato dalla rivoluzione urbana, dalla divisione del lavoro e dalla nascita dello Stato)

L’antropologo statunitense L. White, definì la cultura un sistema integrato articolato in tre sottosistemi:

  1. sistema tecnologico (comprende gli strumenti materiali con cui si cerca di dominare la natura);
  2. sistema sociologico (riguardante le relazioni umane);
  3. sistema ideologico (comprende idee, arte, linguaggi, religioni, miti…)

Questi tre sistemi interagiscono tra di loro, ma il sistema tecnologico è quello che esercita un ruolo preminente, dal momento che determina di fatto il livello di sviluppo di una società.

J. Steward affermò che non è possibile elaborare un unico percorso evolutivo dell’umanità, segnato da stadi costanti e ricorrenti. L’evoluzione culturale, infatti, è un processo complesso che avviene in diversi modi, a seconda delle interazioni tra l’uomo e i diversi ambienti naturali.

Steward riconobbe comunque l’esistenza di parallelismi nello sviluppo culturale di regioni del mondo molto distanti geograficamente. Ad esempio il passaggio ad agricoltura e allevamento ha preceduto lo sviluppo urbano, ha sua volta premessa per la nascita di Stati.

Il materialismo culturale

Il materialismo culturale si propone di conoscere l’uomo quale essere biologico, alle prese con problemi di sopravvivenza e ritiene possibile fornire una spiegazione materiale dei fenomeni naturali. Marvin Harris è un antropologo e sostenitore del materialismo culturale.

Tale orientamento incarna l’anima scientifico-naturalista dell’antropologia, alla ricerca di una spiegazione materiale e scientifica dei comportamenti culturali diffusi nella specie umana. Ad esempio per la politica è sempre possibile fornire una spiegazione materiale o funzionale: la politica avrebbe la funzione di risolvere pacificamente i conflitti.

In questa prospettiva la cultura viene spiegata come l’insieme delle risposte che l’essere umano, nel corso dell’evoluzione, ha dato al problema della sua sopravvivenza.

Il materialismo culturale affonda le sue radici in alcune prospettive teoriche:

  • materialismo storico di Karl Marx, per cui ciò che distingue l’uomo dagli animali è la sua attitudine al lavoro;
  • teoria della selezione naturale di Charles Darwin, secondo cui nella lotta della sopravvivenza vince chi si sa meglio adattare ai cambiamenti ambientali;
  • psicologia comportamentista, che considera il comportamento esteriore e visibile delle persone l’unico oggetto possibile di indagine scientifica;
  • la demografia di Thomas Robert Malthus che affermò che la popolazione cresce ad un livello superiore rispetto alla crescita delle risorse. Da questo deriva un perenne squilibrio tra popolazione e risorse.

Ciò che lega il materialismo culturale a quanto sopra è la visione naturalistica dell’essere umano, descritto come un insieme di pulsioni, tendenze comportamentali e bisogni geneticamente prestabiliti. Come tutti gli esseri viventi lotta per la sopravvivenza, ma rispetto agli animali ha un arma in più, l’intelligenza.

L’antropologia interpretativa

L’antropologia interpretativa fa emergere i significati dei fenomeni culturali. Essa punta l’attenzione sulla capacità dell’essere umano di riflettere su sé stesso e di elaborare un livello simbolico di significati e valori. Clifford Geertz è considerato il principale esponente di tale indirizzo.

L’antropologia interpretativa si propone di comprendere dall’interno le culture, considerate un mondo a sé, che può essere descritto e interpretato ma non spiegato.

Nella raccolta di saggi Interpretazione di culture (1973) Geertz dà una sistemazione teorica all’approccio interpretativo. Geertz ha sempre preferito la ricerca etnografica sul campo (lo studioso entra in contatto con la realtà socio-culturale che intendeva descrivere), piuttosto che la ricerca puramente teorica.

Per Geertz l’essenza della ricerca etnografica risiede nello sforzo intellettivo necessario ad interpretare i fenomeni osservati. L’interpretazione è alla base di quella che lui definisce descrizione etnografica densa, cioè consapevole che i dati raccolti (attraverso interviste, conversazioni informali, osservazioni partecipanti e  analisi di documenti e registrazioni) sono interpretazioni che gli individui danno degli eventi della loro vita. L’antropologo a sua volta elaborerà queste interpretazioni partendo dal proprio punto di vista. In questo senso le sue sono “interpretazioni di interpretazioni”.

La pluralità dei punti di vista presenti in una descrizione densa non è tuttavia, secondo Geertz, un limite dell’etnografia, come potrebbe ritenere chi cerca la “verità di fatti”, bensì la sua ricchezza: l’incrocio delle interpretazioni restituisce il senso della complessità e varietà del mondo umano.

Un’altra peculiarità dell’etnografia è il suo carattere di narrazione scritta: grazie al lavoro dell’antropologo, un patrimonio umano di significati di azioni sociali compiute da personaggi reali è sottratto all’oblio a cui è condannata la maggior parte delle vicende umane, e rielaborato in forma narrativa, consegnato ai contemporanei e ai posteri.

Nella prospettiva di Geertz, l’antropologo è in primo luogo soprattutto un conservatore di significati.

Geertz ammette l’uomo come animale culturale. Egli non crede sia possibile scoprire degli universali culturali che permettono di distinguere l’uomo dagli animali.
Geertz prende di petto la diversità: l’uomo, afferma, è un animale molto vario; l’etnografia è la “scrittura” di questa diversità. L’uomo si differenzia da tutti gli altri animali per la diversità culturale, adattata in modi differenti agli ambienti più vari, di contro all’uniformità biologica di tutte le altre specie, che affrontano i problemi della sopravvivenza producendo lo stesso tipo di risposte geneticamente predeterminate.